Gianmarco Pondrano Altavilla (presidente del Centro Studi Salvemini): raccogliamo la sua sfida per un sistema di welfare universale.
di Domenico Letizia, Cronache di Napoli 10 febbraio 2017
NAPOLI – Ieri, 9 febbraio, sono caduti i cinquant’anni dalla morte di Ernesto Rossi. L’intellettuale nacque a Caserta nel 1897. A diciott’anni andò in guerra come volontario e, tra il ‘19 e il ‘22, si avvicinò al nazionalismo, iniziando a scrivere sul quotidiano “Popolo d’Italia”, diretto da Benito Mussolini. In questi anni conobbe Gaetano Salvemini, del quale divenne fraterno amico. Di lui, Rossi ebbe poi a scrivere:“Se non avessi incontrato sulla mia strada al momento giusto Salvemini, che mi ripulì il cervello da tutti i sottoprodotti della passione suscitata dalla bestialità dei socialisti e dalla menzogna della propaganda governativa, sarei facilmente sdrucciolato anch’io nei Fasci da combattimento”. Egli, infatti, divenne da lì in avanti un tenace avversario del regime. Entra, così, nelle file di “Giustizia e Libertà” divenendone uno dei dirigenti, ma il suo dinamismo gli costò una condanna dal Tribunale speciale a vent’anni di carcere. Trascorse gli ultimi quattro anni di pena al confino sull’isola di Ventotene. Qui conobbe Altiero Spinelli e Eugenio Colorni con i quali elaborò le idee che andarono a comporre il ‘Manifesto di Ventotene. Approfondiamo l’attualità e il pensiero di ErnestoRossi con Gianmarco Pondrano Altavilla, Direttore del Centro di Studi storici, politici e sociali “Gaetano Salvemini” di Napoli.
Chi era Ernesto Rossi e perché studiare oggi il suo pensiero?
“Economista, teorico politico, polemista, fustigatore dei nostri mali nazionali, antifascista militante. Rossi è una figura ricchissima e poliedrica. Se dovessi scegliere un lato del prisma, direi principalmente testimone della libertà. Certo, è un po’ retorico, ma come espressione riassume bene quella ricchezza di pensiero (un pensiero moderno, vivace, dinamico) e di vita – e sottolineo di vita – che rappresenta il maggiore lascito di Rossi e ne rappresenta anche l’attualità. Perché le idee che non vengono vissute fino in fondo, fino ai sacrifici più alti (per Rossi quello della sua libertà personale per tredici anni), valgono poco nell’economia della storia, perché sono incapaci di ispirare, di stimolare chicchessia a seguirne i valori”.
Il periodo della sua attività al “Mondo” è il suo periodo più fervido di idee. Molto noti sono i titoli dei volumi entro i quali Rossi raccoglie scrupolosamente i suoi articoli. Tra tutti “Aria fritta” (Bari, 1955) e “I padroni del vapore”(Bari, 1956). Nel 1962 passa al periodico “L’Astrolabio” diretto da Ferruccio Parri. Politicamente, quali sono gli scritti più importanti di Rossi?
“Sicuramente il periodo de ‘Il Mondo’ è un periodo straordinario della sua produzione. I suoi scritti politici più importanti però risalgono al periodo carcere-confino che Rossi attraversa negli anni del Regime. In quel frangente mette mano ad un’opera, la Critica delle costituzioni economiche, che seppur incompiuta, è davvero il libro della sua vita. Ne avrebbero dovuto far parte tre scritti demolitori dei principali sistemi economici in uso all’epoca (capitalismo,comunismo, sindacalismo) ed uno scritto costruttivo dedicato al sistema economico rossiano. La triade vedrà diverse edizioni separate ed una sola ricomposta negli anni ‘60. La ‘pars costruens’ sarà invece pubblicata e conosciuta con il titolo di “Abolirela miseria”.
Ci può descrivere il rapportotra Ernesto Rossi eGaetano Salvemini?
“Basterà una frase a darne conto. Una frase dello stesso Salvemini che diceva che se si fosse potuto fabbricare un figlio su misura lo avrebbe fatto uguale a Rossi. Salvemini, dal canto suo, è per l’intellettuale casertano la primissima guida (anche se non la sola) nel suo percorso di studio e di elaborazione intellettuale. A lui dovette la passione per la libertà, intesa come tutela del diverso, dell’eretico. La passione per la concretezza e la ripulsa sanguigna per le astrazioni che non servono ad altro che a pestar acqua nei mortai. E poi tutta una serie di letture formanti, prima fra tutte quella di Cattaneo e dei suoi scritti”.
L’attualità politica è caratterizzata dal pericolo di disintegrazione dell’Unione Europea. Quali insegnamenti possiamo cogliere dal pensiero di Rossi e quali visioni vanno attualizzate per superare il pericolo del riemergere dei nazionalismi?
“Già all’apparire, nel dopoguerra, sulla scena del mondo delle prime forme di integrazione europea, Rossi si rese conto che l’aver fatto il passo a metà ci avrebbe esposto presto o tardi a ricadute di enorme portata.
Tutto sommato però proprio queste ricadute, questo momento di crisi, possono rappresentare una nuova frattura da utilizzare a vantaggio della causa europea, per fare un significativo balzo in avanti, in nome di un’unione davvero federale. L’alternativa, ce lo insegna in ogni sua pagina Rossi, l’abbandonarsi agli egoismi nazionali, alle piccinerie di bottega, alla chiusura culturale, economica, sociale, è l’inaridimento della società e del suo ritrovarsi, sotto forme diverse, in un nuovo medioevo”.
Il Meridione Italiano e Ernesto Rossi. Cosa possiamo dire di tale rapporto?
“Meridionale, casertano di nascita, Rossi cresce e si forma, però, prevalentemente a Firenze. Questo non vuol dire che nel corso della sua vita abbia dimenticato le sue origini. Anzi. Nel Primo Dopoguerra lo vediamo impegnato nel meridione per conto dell’Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia in una vasta opera di ricerca sul campo sulle condizioni dei nostri territori (Basilicata in primis), volta alla creazione di un sistema di educazione elementare diffuso ed all’agevolazione dell’emigrazione, allora in mano a camorre di ogni tipo che sfruttavano senza decenza alcuna la miseria dei migranti (un ripetersidella storia che ci dovrebbe dare molto da pensare…). Esiste un bel libro del professor Mirko Grasso sull’argomento”.
Abolire la miseria: così s’intitolava lo splendido libro che Ernesto Rossi scrisse in carcere nel 1942 e pubblicò nel 1946: “Bisogna unire tutte le nostre forze per combattere la miseria per le stesse ragioni per le quali è stato necessario in passato combattere il vaiolo e la peste: perché non ne resti infetto tutto il corpo sociale”. Cosa si può aggiungere pensando all’attualità politica, sociale ed economica?
“Proporre un sistema di welfare universale, che offra a tutti un minimo di vita civile sul quale contare, senza però creare sacche di dipendenza o di malversazione, è la grande sfida della modernità. Perché dalla sua soluzione dipende la vivacità del sistema moderno stesso che non può fare a meno delle forze, della competizione che gli individui nati per accidente in povertà, o ritrovatosi in quella condizione senza propria colpa, possono portare nell’agone della vita comune. La risposta di Rossi (l’autoproduzione dei beni di prima necessità da parte dei giovani a conclusione del loro corso di studi) apparirà oggi utopica. Sarebbe, però, un gravissimo errore buttare il bambino con l’acqua sporca. Non solo perché quella risposta è basata su di un lavoro di analisi delle forme di welfare (condotto proprio in Abolire la miseria) che non ha pari nella letteratura scientifica mondiale. Ma soprattutto perché la direzione appare oggi più che allora promettente: sarebbe davvero così difficile immaginare di far fare qualche anno di lavori socialmente utili ai giovani per consentire di mettere da parte un quid da restituire loro in forma di servizi quando ne avessero bisogno?
Quali iniziative ha in corso o in programma il Centro Salvemini per ricordare Ernesto Rossi?
“Devo dire che abbiamo cercato davvero di riempire al massimo questo anno rossiano. Innanzi tutto c’è stato un incontro a Napoli presso la Libreria Dante e Descartes sul tema dell’abolizione della miseria. Poi abbiamo in programma un convegno a Caserta in autunno con studiosi rossiani di fama. In più abbiamo messo mano ad un progetto di ripubblicazione delle opere di Rossi, in collaborazione con la Fondazione Rossi-Salvemini, che vedrà in aprile l’uscita dopo più di cinquant’anni, per i tipi Castelvecchi, della Critica delle costituzioni economiche con una eccellente nota storiografica di Andrea Becherucci.
C’è in cantiere una curatela su Rossi ed il problema del lavoro con l’Istituto Bruno Leoni… insomma il lavoro davvero non manca. Per non parlare di tutte le iniziative degli amici del Centro, come la professoressa Braga che con il professor Vittori ha dato alle stampe un bel volume su Ada Rossi”.