di Lotte Dann Treves
[Lotte Dann Treves è mancata la sera del 31 luglio. Pubblicare questo ricordo inedito, raccolto da Andrea Ricciardi e letto durante la presentazione di un libro su Ada Rossi a Roma nel febbraio 2017, è un ottimo modo per ricordare la vedova di Paolo Treves, una donna davvero speciale]
Devo premettere che non ho incontrato Ernesto Rossi che una sola volta e per pochi minuti. Ada, invece, l’ho conosciuta attraverso la più amica delle mie amiche, la carissima e indimenticabile Cetta Cifarelli, recentemente scomparsa, che mi raccontava come lei e Ada si fossero prese cura con grande coraggio e, talvolta, perfino con audacia dei vecchi antifascisti quando Michele ed Ernesto, per effetto delle persecuzioni e delle vessazioni dei fascisti, non erano più in grado di organizzare e governare la propria esistenza. Io ascoltavo i racconti con ammirazione. Ma ho incontrato Ada solo dopo la morte del marito, quando l’abbiamo accompagnata alla Clinica chirurgica del Policlinico, dove lui era stato operato ed era morto, per ritirare alcune cose rimaste là. L’intesa è stata immediata e non è mai venuta meno. Ada raccontava con sobria obiettività e spesso con umorismo della sua difficile vita, del lungo confino e della lunghissima separazione dal marito, col quale credo abbia davvero convissuto solo dopo la fine del fascismo. Mai quei racconti avevano il minimo “sottotono” di lamento o volevano suscitare compassione, anche se era ovvio che c’era stata molta sofferenza e grande fatica in quei viaggi, quando le veniva concesso il permesso di andare a far visita al marito in carcere, sempre sotto rigorosa sorveglianza e come il bacio che era ammesso, quando era ammesso, serviva spesso per passare da bocca a bocca un minuscolo foglietto con le ultime informazioni e istruzioni.
Grazie al lavoro che facevo, ho avuto la possibilità di far sorvegliare il diabete di Ada da un esperto diabetologo, che era anche in rapporto con una delle grandi case farmaceutiche tedesche e faceva avere ad Ada le medicine che doveva prendere. Per questo lei mi chiamava, esagerando, la sua fata benefica. Diceva: «Noi diabetici siamo i più indisciplinati, perché se mangiamo quello che non dovremmo, non ci sentiamo male o non ci fa male la pancia, del danno che ci facciamo ci accorgiamo molto più tardi».
Il vero grande amore di Ada era però la matematica. E lei ha saputo trametterlo ai suoi allievi. Infatti, anche da novantenne faceva lezione ai figli e ai nipoti dei suoi amici, alcuni dei quali sono poi diventati professori d’università di economia, fisica e altre materie scientifiche.
L’altro grande amore di Ada erano i cani. Ne ha avuto una lunga serie, tutti chiamati Pirri. Il nome era seguito da un numero d’ordine, come quello dei monarchi. Lei raccontava storie divertenti dei vari Pirri e bisogna anche ammettere che quando è morto l’ultimo, noi, le sue amiche, eravamo anche un po’ contente, pensando che non c’era più bisogno che Ada scendesse con ogni clima, la mattina presto e la sera tardi, per far passeggiare Pirri.
Ma questa morte mi fece sentire in colpa. Bisogna sapere che le nostre abitazioni erano molto distanti tra di loro e siccome le lezioni di pianoforte o di ginnastica di mio figlio, allora ginnasiale, si svolgevano dalle parti di Piazzale Medaglie d’oro, i miei pomeriggi erano dedicati all’accompagnamento di Claudio che, altrimenti, avrebbe dovuto fare i compiti dopo cena e io ci tenevo che non facesse troppo tardi. Spesso, uscendo da una di queste lezioni, facevamo un saluto da Ada, la cui abitazione era poco distante, ma quella volta decidemmo di non farlo. Glielo dissi la sera telefonandole e mi rispose che avevo fatto male, perché quel pomeriggio era morto Pirri. Il cagnolino stava male ma, in un certo momento, si era faticosamente alzato, aveva attraversato la stanza e, datole una leccata alla mano, era crollato a terra morto. Non so dire quanti anni siano passati, ma sento ancora il rimorso, come di un dovere trascurato, quasi di un tradimento. Sarebbe stato per lei un sollievo vedere due facce amiche, e quel piccolo gesto non l’ho compiuto. È una prova ulteriore di quanto Ada sia stata per me importante.
(Pubblicato sull’edizione on line della Rivista Il Ponte del 06.08.2018 – www.ilponterivista.com)